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  • Alain Freixe | Bleu plié au noir

    Topique : Bleu
    «  Poésie d’un jour  »



    Yves Klein by colourlovers.com
    Source






    BLEU PLIÉ AU NOIR


    Ça a toujours déjà commencé, ce bleu. C’est juste après le noir.
    Après son bruit de semelles. Et ses dessous de terre et de boue
    comme grattés sur un paillasson de bout du monde.
    Là où personne ne va.


    À travers ces traces qu’il laisse aux murs comme au ciel,
    j’entends son balbutiement dans les vagues de fleurs blanches où tous les mots écument.
    Dans les tourbillons du soleil. Où les couleurs se noient, ivres de coups.


    Sur les devants fument les brandons calcinés du regard.
    C’est comme quand s’arrondit la véronique sous les mains du papillon et qu’entre
    ses plis et le sable qui se soulève s’engouffre le sang, la salive, la terre et la lumière.
    C’est alors que ça siffle ! Dans l’œil. Et que la pupille ne sait plus qu’entendre du vent sur les étangs gelés ou de la hache qui fend les bûches de l’hiver.


    À même la pâte du vent, l’air qui recule des deux côtés de la lame, lève. Il longe l’abrupt de nouvelles parois. L’escarpé d’anciennes falaises. Le jour en sa pointe.
    Son aigu. Avec tout au bout, le bleu.
    Ce bleu, après noir.


    Ce bleu qui revient mains tendues, paume ouverte. Comme un ciel. Inapaisé.
    Dans les hauts. Dans les trouées. Bleu qui se strie. Fait bande.
    Referme ses angles. Et qui déjà s’incline et disparaît.
    Plié au noir.



    Alain Freixe in Décharge n° 141, L’idée bleue, mars 2009, page 68.






    Yblue
    Source



    Voir aussi

    P/oésie, le blog d’Alain Freixe : La poésie et ses entours.



    ANTHOLOGIE DU BLEU

    – (sur Terres de femmes)
    Nicolas Charlet/La Trilogie du bleu  ;
    – (sur Terres de femmes)
    Michèle Dujardin/Et bleu est je ;
    – (sur Terres de femmes)
    Olav H. Hauge/Le pays bleu ;
    – (sur Terres de femmes)
    Jean-Michel Maulpoix, Une histoire de bleu ;
    – (sur Terres de femmes)
    Maddalena Rodriguez-Antoniotti, Bleu Conrad ;
    – (sur Terres de femmes)
    All blues ;
    – (sur Terres de femmes. Série Instables a cappella)
    Bleu plexiglas ;
    – (sur Terres de femmes)
    Bleu de Prusse ;
    – (sur Terres de femmes. Série Instables a cappella)
    Blues déjantés ;
    – (sur Terres de femmes)
    L’ombre portée du palmier bleu ;
    – (sur Terres de femmes)
    Plume de geai bleu ;
    – (sur Terres de femmes. Série Instables a cappella)
    Les sons cris du piano bleu ;
    – (sur Terres de femmes)
    2 janvier 1957/Exposition Yves Klein à Milan.






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  • 2 avril 1725 | Naissance de Giacomo Casanova

    Éphéméride culturelle à rebours



    Portrait apocryphe de Casanova
    Image, G.AdC






         Le 2 avril 1725 naît à Venise Giacomo Casanova, fils supposé de Gaetano Casanova et de Zanetta Farussi, acteurs. Il faut sans doute attribuer à Michele Grimani, noble vénitien, la paternité de Giacomo, dont l’éducation fut confiée à l’abbé Alvise, frère de Michele Grimani. Tour à tour secrétaire, abbé, avocat, spadassin, chargé de missions secrètes, fabricant de tissus…, Casanova fait l’expérience de la banqueroute et de la prison, des amours tempétueuses, des errances amoureuses et financières qui le conduisent à travers l’Europe. Franc-maçon et débauché, Giacomo Casanova s’attribue ― de son propre chef — le titre de chevalier de Seingalt. Contraint par la vieillesse et par les difficultés financières à renoncer à ses vagabondages, Giacomo Casanova se réfugie dans l’écriture. Outre le Soliloque d’un penseur (1786) et le roman fantastique Icosameron ou Histoire d’Edouard et d’Elisabeth (1788), Giacomo Casanova est l’auteur de deux récits autobiographiques : Histoire de ma fuite des Plombs de Venise et Histoire de ma vie, publiés en 1822. Entrepris dès 1789, ces récits occupent Giacomo Casanova jusqu’à sa mort, survenue le 4 juin 1798, au château de Dux, en Bohême.





    EXTRAIT DES MEMORIE SCRITTE DA LUI MEDESIMO


    Capitolo Tredicesimo


    Abbandono l’abito ecclesiastico e indosso l’uniforme militare. Teresa parte per Napoli e io vado a Venezia, dove entro al servizio della mia patria. M’imbarco a Corfù e scendo a Orsera per una passeggiata.

         Sul vascello col quale sarei andato a Corfù doveva imbarcarsi anche un nobile veneziano, che andava a Zante in qualità di consigliere, con un seguito numeroso e brillante. Il capitano del vascello mi disse che se avessi dovuto mangiare da solo non me la sarei passata troppo allegramente ; mi consigliò piuttosto di farmi presentare a quel signore, che senza dubbio mi avrebbe invitato a mangiare con lui. Questo consigliere si chiamava Antonio Dolfin, e lo avevano soprannominato Bucintoro a causa della sua aria da gran signore e della ricercatezza del suo abbigliamento. Non ebbi bisogno di darmi da fare, perchè l’abate Grimani mi propose spontaneamente di presentarmi al signor Dolfin ; questi, dopo avermi accolto con molto garbo e avermi invitato alla sua mensa, mi disse che gli avrei fatto cosa grata se fossi andato a fare la conoscenza di sua moglie, che si sarebbe imbarcata con lui. Vi andai l’indomani e conobbi una signora molto ammodo, ma un po’avanti negli anni e completamente sorda : la conversazione, quindi, era praticamente impossibile. Aveva una figlia belle e giovanissima, che fu lasciata in un convento e che divenne in seguito una donna famosa ; credo che viva ancora : è la vedova del procuratore Iron, la cui famiglia si è estinta.
         Posso dire di non aver mai visto un uomo più bello e più rappresentativo del signor Dolfin. Le sue doti principali erano una vivace intelligenza e delle maniere squisite : era eloquente, buon giocatore, anche se perdeva sempre, amato dalle donne, alle quali cercava di piacere, sempre intrepido e sereno sia nella buona che nella cattiva sorte.
         Si era arrischiato a viaggiare senza permesso, si era messo al servizio di una potenza straniera e per conseguenza era caduto in disgrazia presso il governo : un nobile veneziano non può commettere un delitto più grande ; ciò gli valse il piacere di passare un pò di tempo nella famosa prigione dei Piombi, piacere che in seguito ebbi anche io.
         Quest’uomo bello, generoso e niente affatto ricco, fu costretto a chiedere al gran consiglio un incarico lucrativo : per questo è stato nominato consigliere per l’isola di Zante ; ma conduceva un tenore di vita cosi sfarzoso che non poteva certo sperare di ricavare grandi utili dalla sua carica. D’altra parte quell’uomo, così come io l’ho descritto, non poteva fare fortuna a Venezia : un governo aristocratico può sperare nella tranquillità solo se riesce a mantenere l’uguaglianza fra gli aristocratici ; e l’uguaglianza, sia fisica che morale, può essere giudicata solo in base alle apparenze : dal che discende che l’individuo che non vuole essere perseguitato, se è superiore o inferiore agli altri, deve fare tutto il possibile per non darlo a vedere. Se è ambizioso, deve ostentare un profondo disprezzo per gli onori ; se vuole ottenere un posto, deve far finta di non volerlo ; se ha un bell’aspetto, deve trascurarlo : deve comportarsi male, vestirsi peggio, non avere alcuna ricercatezza, mettere in ridicolo tutto ciò che è straniero, fare in modo goffo le riverenze, non vantarsi di una educazione squisita, dare poca importanza alle arti, dissimulare il proprio buon gusto, non avere cuochi stranieri, portare una parrucca mal pettinata ed essere un pochino sporco. Poichè il signor Dolfin non possedeva alcuna di queste eminenti qualità, non poteva sperare di far fortuna nel suo paese.
         Il giorno prima della partenza non uscii di casa : ritenni mio dovere consacrare tutta la giornata all’amicizia. La signora Orio versò copiose lacrime, come pure le sue belle nipoti, e io non fui da meno. L’ultima notte che passammo insieme, le mie amiche mi dissero cento volte, mentre si abbandonavano ai più dolci trasporti, che non mi avrebbero rivisto mai più. La previsione era giusta ; ma se mi avessero rivisto, non sarebbe stata più giusta. Ecco l’aspetto pregevole delle profezie !
         Salii a bordo il 5 maggio, ben fornito di gioielli e di moneta contante. Il nostro vascello portava ventiquattro cannoni e duecento soldati schiavoni. Da Malamocco raggiungemmo l’Istria durante la notte, e gettammo l’ancora nel porto di Orsera per fare zavorra. Mentre l’equipaggio era impegnato in questo lavoro, sbarcai con molti altri passeggeri per dare un’occhiata a quell’orrendo posto dove, nove mesi prima, avevo passato tre giorni. Nel rivedere quel luogo, fui indotto a fare dei lusinghieri confronti fra quello che ero la prima volta e quello che ero in quel momento. Che differenza di condizione sociale ed economica ! Ero sicuro che, con l’abito che portavo indosso, nessuno avrebbe riconosciuto in me il misero abate che, senza frate Stefano, sarebbe diventato… Dio sa che.


    Giovanni Giacomo Casanova, Memorie scritte da lui medesimo, Aldo Garzanti Editore, Collezione I Garzanti – I Grandi Libri, 1967, pp. 249-250-251.





    Chapitre treize


    J’abandonne l’habit ecclésiastique et j’endosse l’uniforme militaire. Thérèse part pour Naples et je me rends à Venise où j’entre au service de ma patrie. Je m’embarque pour Corfou et je descends à Orsera pour faire une promenade.


         Sur le vaisseau avec lequel je devais me rendre à Corfou devait aussi s’embarquer un noble vénitien. Il se rendait à Zante en qualité de conseiller, avec une suite nombreuse et brillante. Le capitaine du vaisseau me dit que si je devais manger seul, ce ne serait pas très gai pour moi ; il me conseilla plutôt de me présenter à ce noble seigneur, que probablement il m’inviterait à partager son repas. Ce conseiller se nommait Antonio Dolfin. On l’avait surnommé Bucentaure à cause de son air de grand seigneur et de la recherche de sa mise vestimentaire. Je n’eus pas besoin de me donner du mal, parce que l’abbé Grimani me proposa spontanément de me présenter au seigneur Dolfin ; après m’avoir écouté avec beaucoup de politesse et m’avoir invité à sa table, il me dit qu’il me saurait gré d’accepter de faire connaissance de son épouse, qui s’était embarquée avec lui. Je me rendis auprès d’elle le lendemain et je fis connaissance d’une dame très comme il faut, mais déjà d’un certain âge et complètement sourde. De sorte que la conversation fut quasiment impossible. Elle avait une fille belle et très jeune, qui fut laissée dans un couvent. Et qui, par la suite devint une femme célèbre ; je crois qu’elle vit toujours. Elle est la veuve du procureur Iron, dont la famille s’est éteinte.
         Je peux affirmer que je n’ai jamais vu un homme plus beau et plus représentatif que le seigneur Dolfin. Il avait pour principaux dons une intelligence vive et des manières exquises : il était éloquent, bon joueur, même s’il perdait toujours, aimé des femmes, à qui il cherchait à plaire, toujours intrépide, aussi serein dans le mauvais sort que dans le bon.
         Il s’était risqué à voyager sans autorisation et s’était mis au service d’une puissance étrangère, ce qui lui avait valu de tomber en disgrâce auprès du gouvernement : un noble vénitien ne peut commettre délit plus grand ; cela lui donna le plaisir de passer quelque temps dans la fameuse prison des Plombs, plaisir que je connus moi aussi par la suite.
         Ce bel homme, généreux et pas du tout argenté, fut contraint de requérir auprès du grand conseil une charge lucrative ; c’est pour cette raison qu’on le nomma conseiller de l’île de Zante. Mais il menait un train de vie si fastueux qu’il ne pouvait certainement pas espérer tirer de grands bénéfices de sa charge. Par ailleurs, cet homme, tel que je l’ai décrit, ne pouvait faire fortune à Venise : un gouvernement aristocratique ne peut jouir de sa tranquillité que s’il réussit à maintenir l’égalité entre les aristocrates ; et l’égalité, qu’elle soit physique ou morale, ne peut être jugée qu’à partir des seules apparences : il en résulte que l’individu qui ne veut pas être persécuté, qu’il soit supérieur ou inférieur aux autres, doit faire tout son possible pour ne rien laisser paraître. S’il est ambitieux, il doit afficher un profond mépris pour les honneurs ; s’il veut obtenir un poste, il doit faire mine de n’en point vouloir ; s’il a belle allure, il doit l’oublier. Il doit se comporter mal, s’habiller avec peu de soin, éviter la moindre recherche, tourner en ridicule tout ce qui est étranger, faire ses révérences avec gaucherie, éviter de se vanter d’avoir reçu une éducation exquise, accorder peu d’importance aux arts, dissimuler son bon goût, ne pas avoir de cuisiniers étrangers, porter une perruque mal peignée et adopter une tenue un peu négligée. Comme le seigneur Dolfin ne possédait aucune de ces éminentes qualités, il ne pouvait espérer faire fortune dans son pays.
         Le jour qui précédait le départ, je ne sortis pas de la maison. Je m’attachais à consacrer ma journée à l’amitié. La signora Orio versa d’abondantes larmes, de même que ses belles nièces, et je ne fus pas en reste. La dernière nuit que nous passâmes ensemble, mes amies me dirent cent fois, tandis qu’elles s’abandonnaient aux transports les plus doux, qu’elles ne me reverraient plus jamais. Leurs prévisions étaient justes ; mais si elles m’avaient revu, ces prévisions n’en auraient pas été pour autant plus justes. Voilà toute la valeur des prophéties !
         Je montais à bord le 5 mai, bien pourvu en bijoux et en argent. Notre vaisseau était armé de vingt-quatre canons et de deux cents soldats esclavons. De Malamocco nous rejoignîmes l’Istrie pendant la nuit et jetâmes l’ancre dans le port d’Orsera pour délester.
         Pendant que l’équipage était occupé à ce travail, je mis pied à terre, avec de nombreux autres passagers, pour jeter un coup d’œil à cet horrible endroit où, neuf mois plus tôt, j’avais passé trois jours.
         En revoyant ce lieu, je fus amené à faire quelques comparaisons flatteuses entre mon état la première fois et celui qui était le mien en ce moment même. Quelle différence de condition sociale et économique ! J’étais sûr que, grâce à l’habit que j’endossais, personne n’aurait pu reconnaître en moi le miséreux abbé que, sans le frère Stefano, je serais devenu… Dieu sait que.

    Traduction d’Angèle Paoli




    ■ Voir aussi ▼

    → (sur Terres de femmes)
    Le Casanova de Fellini



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  • 1er avril 1936 | André Lhote, « Expositions Picasso »

    Éphéméride culturelle à rebours



    Picasso, Femme nue dans un fauteuil rouge
    Pablo Picasso,
    Femme nue dans un fauteuil rouge, 1932
    Huile sur toile, 129,9 x 97,2 cm
    Tate Modern, Londres





    C’EST DU FOUJITA


         « C’est du Foujita » disait, d’un ton méprisant, un peintre, naguère ami des cubistes, aujourd’hui de l’Institut, à M. Paul Rosenberg, écrasé, en lui montrant cette odalisque lunaire*, de Picasso, dont les membres se conjuguent aux détails du fauteuil qui la contient, ― et l’on ne sait si l’on voit les perles de son collier ou les clous du dossier, les fleurs de sa robe ou les ornements du siège.
         « C’est du Meissonnier » disaient, d’un commun accord, plusieurs peintres modernes au vernissage du Temps présent, devant la « Structure molle » de Salvador Dali, où l’on voit, entre autres choses, se dresser, sur un fond de paysage espagnol, une singulière pièce montée, comme il s’en trouve dans les toiles de Jérôme Bosch, faite de jambes et de bras superposés, que terminent de mains crispées, dont l’une étreint en plein ciel un sein gonflé, au bout envenimé. Une tête douloureuse et grimaçante, rejetée en arrière, surmonte le tout.
         Je ne voudrais pas être l’auteur de ces deux constructions inquiétantes ― mon dessein étant ailleurs ― mais devant les révoltes et les incompréhensions qu’elles suscitent chez trop d’artistes, je me prends la tête à deux mains, pour essayer d’en découvrir les raisons. Est-ce vraiment si difficile de reconnaître le talent où il se trouve ? Pourquoi les peintres s’obstinent-ils ainsi à demeurer aveugles aux mérites du voisin ? On ne les voit vraiment intéressés que par la médiocrité, surtout lorsqu’elle est l’œuvre d’un disciple. C’est en vain que je repasse en mémoire la liste des incompréhensions historiques, depuis Rome et Venise : Ingres et Delacroix ; Manet et Van Gogh ; Cézanne et Gauguin. Des exemples de générosité et de lucidité viennent s’y opposer : Rubens et Brauwer, Delacroix, Corot et Daumier, si différents les uns des autres, le grand et le modeste s’admirant réciproquement. Mais qui, aujourd’hui, estime véritablement un confrère ?


    André Lhote, « Expositions Picasso », La Nouvelle Revue française, 1er avril 1936, pp. 610-613 in L’Esprit NRF, 1908-1940, Éditions Gallimard, 1990, pp. 1065-1066.




    * Note d’AP : pour cette toile, La Femme nue dans un fauteuil rouge, réalisée en 1932, Pablo Picasso a pris pour modèle sa jeune maîtresse, Marie-Thérèse Walter. Cette toile de la période ingresque, aujourd’hui conservée à la Tate Modern à Londres, faisait partie des toiles présentes sur les cimaises de l’exposition Picasso-Ingres, qui s’est tenue au Musée Picasso, à Paris, du 17 mars 2004 au 21 juin 2004, et de l’exposition « Picasso: Challenging the Past » qui s’est tenue à la National Gallery (Londres) du 25 février 2009 au 7 juin 2009.





    Picasso : Challenging the Past
    Source





    ■ Picasso
    sur Terres de femmes

    13 juillet 1937 | Guernica au Trocadéro
    19 mars 1944 | Le Désir attrapé par la queue, Picasso
    8 avril 1973 | Mort de Pablo Picasso (+ vidéo)
    Dora Maar et Pablo Picasso | studio du 29, rue d’Astorg


    ■ Voir aussi ▼

    → (sur Wikipedia)
    la notice André Lhote



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  • TdF n° 53 ― avril 2009



    TdF ― avril 2009
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    SOMMAIRE DU MOIS D’AVRIL 2009



    Terres de femmes ― N° du mois de mars 2009
    1er avril 1936 | André Lhote, « Expositions Picasso »
    2 avril 1725 | Naissance de Giacomo Casanova
    Alain Freixe | Bleu plié au noir
    Yves Charnet | Difficile séjour
    6 avril 1917 | Naissance de Leonora Carrington
    La Pensée de midi, « L’Iran, derrière le miroir  », par Angèle Paoli (Chroniques de femmes)
    8 avril 2009 | Mort d’Henri Meschonnic
    9 avril 1948 | Naissance de Bernard-Marie Koltès
    Poésie croisée sur les remparts de Pistoia (Toscane)
    Délires de livres à Chartres (Toscane)
    Patrick Da Silva, Demain (note de lecture d’Angèle Paoli)
    Piero Bigongiari | Pescia-Lucca
    Poésie croisée sur les remparts de Pistoia (Toscane)
    Limon de haut vertige | Limo d’alta vertigine (Angèle Paoli/Maura Del Serra/Alessandro Ceni)
    L’or des paroles | L’oro delle parole (Angèle Paoli/Maura Del Serra)
    André Ughetto | En Corse
    Myriam Eck | Cavité – Ouverte
    Olivier Bastide | BestiAire
    Martine Broda | L’aura
    Terres de femmes ― N° du mois de mai 2009



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  • Terres de femmes ― Sommaire du mois de mars 2009





    MARS 2009
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    SOMMAIRE DU MOIS DE MARS 2009


    Terres de femmes ― Sommaire du mois de février 2009
    Babel Littorale à Boulogne-sur-Mer le 20 mars 2009
    Caravane poétique du Scriptorium
    Sylvie Fabre G./Dans l’attente d’un prolongement qui se meurt (note de lecture d’Angèle Paoli)
    9 mars 1883/Naissance d’Umberto Saba
    Lucien Suel/Sombre Ducasse
    Houle verte et carcasses vagabondes (Angèle Paoli)
    13 mars 1888/Naissance de Paul Morand
    William Carlos Williams/Beauté
    15 mars 1918/Pierre Reverdy, Les Ardoises du toit
    Béatrice Bonhomme/Poumon d’oiseau éphémère
    16 mars 1955/Mort de Nicolas de Staël
    Franck Venaille/Ça
    Juan Manuel Roca/Monologue du temps
    Zéno Bianu/Credo
    Leïla Sebbar, Mon cher fils (note de lecture d’Angèle Paoli)
    Michèle Dujardin/Et bleu est je
    30 mars 1987/Les Tournesols de Van Gogh
    Jacques Ancet/L’identité obscure
    31 mars 1596/Naissance de René Descartes



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  • 31 mars 1596 | Naissance de René Descartes

    Éphéméride culturelle à rebours



         Le 31 mars 1596 naît à La Haye, aujourd’hui Descartes, en Indre-et-Loire, René Descartes, issu d’une famille poitevine de petite noblesse.







    PORTRAIT DE DESCARTES
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    EXTRAIT D’UNE CHAMBRE EN HOLLANDE DE PIERRE BERGOUNIOUX



         Descartes est tourangeau. Il a grandi sous d’aimables ombrages, auprès de murmurantes eaux, goûté la poésie. Pour lui, et non pour Kant à qui il suffisait de demeurer, la question s’est posée de savoir quel lieu faciliterait le dessein d’y voir clair en toute chose et d’abord en lui-même. Il ne s’en explique pas expressément. Comment le pourrait-il ? Le sentiment de la nature n’a pas encore été thématisé. Il s’en faut d’un siècle et demi. C’est un troisième philosophe, Jean-Jacques Rousseau, dont le portrait, soit dit en passant, ornait le bureau de Kant, dont il était le seul ornement, qui le fera. Mais une inclination n’a pas besoin de s’apparaître à elle-même, d’être dite, écrite pour entraîner notre âme, guider nos pas. Au rebours d’une tradition à laquelle, déjà, Rabelais, Du Bellay, Montaigne se sont rangés, Descartes ne prend pas le chemin de l’Italie. Tout nous attire, Français, vers ce pays, la langue et les livres, la religion, la lumière, les paysages, la culture des rues et des cafés. Descartes marche à l’opposé, au nord, d’abord, puis « l’occasion des guerres » aidant, en est, où l’hiver allemand le surprend, et l’illumination qui va de pair, l’éblouissante vision qui suppose, semble-t-il, l’éclipse du monde extérieur. La première neige a recouvert la plaine de son linceul, la nuit jeté son manteau sur la terre. Comme le Discours, dans sa concision, laisse à désirer ! L’extrême dépouillement du décor où le sujet rationnel s’éveille à lui-même rend précieuse la moindre indication – l’étranger, la mauvaise saison, une parfaite solitude, ni soins ni passions.
         Le monde est d’abord une extension indéfinie de soi, le soi ― le sujet ― un pli indistinct dans le monde. Pourquoi percer les apparences quand elles nous confortent dans le sentiment de nous-même, le prolongent et l’augmentent de mille impressions agréables, immenses, irrécusables ? Le territoire français se recommande par une aménité à laquelle n’ont jamais résisté les habitants des contrées froides, pluvieuses, réparties sur son arc septentrional. Le tourisme a remplacé, depuis un siècle, l’intrusion belliqueuse des tribus germaniques, celle des Anglais qui furent maîtres, en leur temps, de l’Aquitaine et tinrent longtemps Calais. Il faut supposer un charme spécial à l’espace compris entre la Flandre et les Pyrénées, le promontoire breton et la Provence, et une sensibilité qui va de pair, qui atteint, dans le Midi, une véhémence telle qu’on ne se croit pas capable de vivre hors du lieu dont l’âme a pris les contours et la teinte. On doit à Willy Hellpach, professeur à l’université de Heidelberg, une Géopsyché dans laquelle il étudie l’âme humaine sous l’influence du temps, du climat, du sol…
         Lorsque le printemps, celui de 1620, dissipe la neige et la nuit confidentes, philosophiques, le duc de Bavière fait marcher ses troupes vers la Souabe. Descartes suit le mouvement. Il passe l’été à Ulm, où il s’entretient avec un certain Jean Faulhaber, mathématicien et astrologue. Il repart, fin septembre, pour la Bavière, passe, de là, en Autriche puis sous les murs de Prague où il entre, avec les Catholiques impériaux victorieux. En mars 1621, il quitte le duc de Bavière pour prendre du service chez le comte de Bucquoy. Il participe au siège de Presbourg, Tirnan, Neuhausel, après lequel il quitte l’armée. Mais il ne songe pas à regagner la France. La querelle avec les Huguenots s’est ravivée. La peste sévit à Paris. On l’aperçoit en Silésie, en Poméranie, sur la marche de Brandebourg, incertain, à vingt-cinq ans, de l’usage qu’il fera de son existence, de l’endroit où il passera.
         L’évidence d’une vie entièrement vouée à la connaissance n’est que pour nous. Les esprits indépendants qui jetèrent les fondements d’un savoir pur hésitèrent à s’affranchir des cadres traditionnels, familial, linguistique, géographique, social dont tout homme, depuis toujours, tirait l’essentiel de son humanité. L’œuvre de Descartes comporte autant et plus d’ellipses, d’omissions, de silences que de démonstrations. Il n’avait pas le temps et il en était conscient. Mais comment réprimer le regret de le voir si concis sur l’effet que tant d’hommes rencontrés, d’événements, de pays firent de son âme ingénue, intrépide, en ces années d’apprentissage qui le voient chevauchant en compagnie de reîtres, recherchant la société des savants puis, derechef, marchant avec des reîtres. Quel sujet d’étonnement, pour nous, mais pour lui aussi, sans doute, que le commerce alterné d’assassins professionnels, de brutes adonnées, entre les combats, au vin, à la débauche, et des rares esprits éclairés qu’on est désormais assuré de trouver, pour peu qu’on les cherche, dans les localités européennes de quelque importance, avec lesquels il est possible de converser aussitôt, en latin, des premiers principes et des fins dernières.


    Pierre Bergounioux, Une chambre en Hollande, Éditions Verdier, 2009, pp. 32-36.





    ■ Pierre Bergounioux
    sur Terres de femmes

    7 novembre 1992 | Pierre Bergounioux, Carnet de notes 1991-2000
    27 mars 1995 | Pierre Bergounioux, Carnet de notes 1991-2000





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  • Jacques Ancet | L’identité obscure

    «  Poésie d’un jour  »



    Le long d'une rue et son soleil oblique, on monte, on regarde
    Ph., G.AdC







                               L’IDENTITÉ OBSCURE


                                          CHANT 9



    On tourne, on vire, on a fermé les yeux sans savoir,
    on se tient là au bord des choses, un peu en retrait,
    comme le chêne ou la clôture, le jour posé
    en équilibre, un instant, avant que tout bascule
    sur la pente du soir, le chat qui passe en silence,
    il ne dérange rien, on aimerait être un chat,
    moustaches et pattes blanches sur le fil du présent,
    quelque chose vibre, est-ce son passage ou l’éclat
    brusque des couleurs, on cligne des yeux, on s’arrête,
    sans savoir pourquoi on regarde sur la fenêtre
    le même paysage, avec toute la beauté,
    arbres et ciel sans images, qu’on ne sait pas saisir,
    les doigts croient toucher la table, ils ne la touchent pas,
    on écoute, on ne comprend toujours pas cet appel,
    cette sorte d’impatience parfois minuscule,
    toujours présente, même si c’est un jour de plus,
    le même jour toujours, toujours différent, et l’air
    qui bouge dans les feuilles, la lumière un peu grise
    autour du tronc obscur qui semble ne pas bouger
    mais qui bouge, imperceptiblement, au plus profond
    de sa matière, on ne voit rien et pourtant il bouge
    autant qu’herbe, nuages, corneilles, tout autour,
    mais dans un temps trop lent pour qu’y entre le regard
    et trop rapide pour l’attente de la montagne,
    chacun son rythme, disait l’autre, puisque le monde
    est un faisceau de rythmes croisés entrecroisés
    jamais synchrones, celui de l’étoile et du sang,
    du mur et du vent, du silex et de l’araignée,
    rien ne vibre à l’unisson comme le croient les sens,
    tout s’enfuit, tout diverge, se disperse, s’efface
    dans l’apparente immobilité, le feu crépite
    sous les arbres, on voit les flammes rouges, la fumée
    qui penche avec le vent, on entend le bruit de l’eau,
    celui des feuilles ou des pas qui ressemble à la pluie,
    l’après-midi, on traverse le fleuve des corps
    le long d’une rue et son soleil oblique, on monte, on regarde,
    des marches, on les descend, on s’arrête,
    le ciel est là, sur la fenêtre, mais c’est un autre,
    les mains ne tiennent pas ce qu’elles portent, les doigts
    lâchent toujours leur prise mais la chute est si lente
    qu’on ne la remarque pas, ce qu’on cherche ressemble
    à un peu d’air entré par la porte entrebâillée,
    ou cette goutte de lumière au fond d’un regard
    croisé très vite, comment comprendre que c’est ça,
    on se retourne pour savoir, on suspend un geste,
    trop tard, c’est pour une autre fois, pour jamais peut-être […]



    Jacques Ancet, L’Identité obscure, chant 9 (extrait) in Thauma, Revue de philosophie et poésie, n° 5, « La joie », La Compagnie des Argonautes, février 2009, page 64. Extrait de L’Identité obscure, Éditions Lettres vives, Collection Terre de Poésie, 20213 Castellare-di-Casinca, pp. 55-56-57.




    JACQUES ANCET


    Jacques Ancet
    Source




    ■ Jacques Ancet
    sur Terres de femmes


    [Le chant du même oiseau n’a pas cessé de me poursuivre] (extrait de Huit fois le jour)
    Dans l’indéfini (extrait de Chronique d’un égarement)
    L’égarement
    [Je cherche] (extrait de L’Âge du fragment)
    Image et récit de l’arbre et des saisons (lecture d’AP)
    Je reviens
    [On dit quelqu’un] (extrait des Travaux de l’infime)
    On voit toujours (extrait de Puesto que él es este silencio)
    Oublier l’heure (extrait de Chronique d’un égarement)
    L’âge du fragment (extrait de La Vie, malgré)
    [Mais c’est parce qu’il est tard] (extrait de Voir venir Laisser dire)
    14 juillet | Jacques Ancet, Comme si de rien
    10 décembre 2001 | Jacques Ancet, Un morceau de lumière
    4 novembre 2012 | Jacques Ancet [Sous le bruissement du sang, tweet]




    ■ Voir | écouter aussi ▼


    → (sur Esprits Nomades)
    une page Jacques Ancet
    Lumière des jours, le blog de Jacques Ancet
    → (sur le site de France Culture)
    Alain Veinstein reçoit Jacques Ancet (Du jour au lendemain, 11 juillet 2011)






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  • Neuf éclats de geste

     


     


     


     


    NEUF ÉCLATS DE GESTE


     


     


     


    se détacher du temps


    comme une fleur


    de sa tige


     


    qui griffe la lumière


    fait durer


    la courbe


     


    à l’angle d’envol


    tirer son corps


    vers le bleu


     


    c’est la boule du monde


    qui libère


    l’horizon


     


     


     


    Zéno Bianu, Infiniment proche, page 59.


  • 30 mars 1987 | Les Tournesols de Van Gogh

    Éphéméride culturelle à rebours



         Le 30 mars 1987, record d’enchères, le jour anniversaire de la naissance de Van Gogh (30 mars 1853), pour Les Tournesols. Le tableau est vendu 22,5 millions de livres sterling à une compagnie d’assurances japonaise.






    Van Gogh, Les Tournesols
    Source






    LES TOURNESOLS


         Fleur favorite de Van Gogh, le tournesol fascine par l’éclat de sa couleur, ce jaune qui éclabousse la toile et éblouit le regard. Une couleur du Sud que le peintre est venu chercher, tout comme la lumière. Car c’est par la lumière et par la couleur que doit passer sa peinture. De 1888 à 1889, Van Gogh qui vient de s’installer à Arles pour y fonder son rêve ― « L’Atelier de l’avenir » ―, exécute de nombreuses toiles dont le motif est le tournesol. Douze tournesols dans un vase ; Trois Tournesols dans un vase ; Quatorze Tournesols dans un vase ; Cinq Tournesols dans un vase. À ces quatre versions peintes en 1888 répondent les trois versions de 1889 : Quatorze Tournesols dans un vase ; Douze Tournesols dans un vase ; Quatorze Tournesols dans un vase.

         Ces variations sur les grands tournesols, fouillis inextricable de couleurs et de formes, permettent à l’artiste de montrer sa méthode de travail, de mettre au clair ce qui lui tient à cœur dans la peinture. Pour exécuter ces bouquets, Van Gogh travaille tôt le matin, « car les fleurs se fanent vite, et l’ensemble doit être peint d’un trait ». À la rapidité d’installation des fleurs dans le vase correspond la rapidité d’exécution de la peinture. Pourtant, malgré l’énergie qu’il met à accomplir sa tâche, son trait vigoureux, incisif, apte à se saisir de l’essence des choses, ne parviendra pas à se saisir de la beauté qui se meurt.

         Dans une lettre à Théo il écrit : « Dans la pièce où tu dormiras, ou bien Gauguin quand il viendra, je veux orner les murs blancs de grands tournesols jaunes… et tu verras alors ces grandes peintures avec des bouquets de douze ou quatorze tournesols qui, avec un joli lit, remplissent cette minuscule chambre, tout le reste étant très élégant. » Puis il ajoute :

         « Cela ne presse pas le moins du monde, mais j’ai une idée précise. Je veux faire une vraie maison d’artiste, rien de maniéré, au contraire, absolument rien de maniéré, mais tout, de la chaise au tableau, doit avoir du caractère. »

         Ainsi s’étend la vision du peintre pour qui, progressivement, tout devient œuvre d’art.


    Angèle Paoli



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